14 luglio 2011

Sport e società. Stessi vizi, identiche virtù

In queste settimane la “manovra economica” ha tenuto banco. Tra emendamenti e modifiche una cosa è chiara: i prossimi saranno anni di sacrifici e di tagli, una manovra “seria e rigorosa” non è rimandabile, se non con il rischio di fare la fine della Grecia. Come ci si è arrivati? Detto in parole semplici, per decenni chi governava il Paese ha speso più di quanto lo Stato incassava: anche se il Pil cresceva e la pressione fiscale aumentava, facendo arrivare nelle casse sempre più soldi, si è alimentato un debito pubblico che oggi fa paura.

In queste settimane la “manovra economica” ha tenuto banco. Tra emendamenti e modifiche una cosa è chiara: i prossimi saranno anni di sacrifici e di tagli, una manovra “seria e rigorosa” non è rimandabile, se non con il rischio di fare la fine della Grecia. Come ci si è arrivati? Detto in parole semplici, per decenni chi governava il Paese ha speso più di quanto lo Stato incassava: anche se il Pil cresceva e la pressione fiscale aumentava, facendo arrivare nelle casse sempre più soldi, si è alimentato un debito pubblico che oggi fa paura. Come chiamare un atteggiamento così se non con il nome di irresponsabilità? Se uno facesse così a “casa sua”, come lo chiameremmo? Dirlo può sembrare banale. Meno banale è ricordare che lo stesso errore fatto dal Paese lo è andato facendo il mondo del calcio. Stesso andazzo, stessi rischi, stessi pericoli. La serie A due anni fa ha chiuso la stagione con 250 milioni di euro di perdite. Ma l’incredibile arriva da un altro dato: nel 1997 gli incassi per i diritti televisivi erano di 241 milioni di euro, due anni fa erano diventati 999 milioni di euro. In pratica, quadruplicati nel giro di poco più di dieci anni. Come mai, con un aumento così “spaventoso” delle entrate, si chiude un bilancio con 250 milioni di perdita? Semplice: basta vivere al di sopra delle proprie possibilità, basta sperperare in rose da 30 o 40 giocatori, basta essere complessivamente poco responsabili. La conseguenza? Chi può ripiana e chi non può fallisce. Dunque società italiana e calcio hanno sofferto dello stesso vizietto: vivere al di sopra delle proprie possibilità. Ora entrambi devono dimostrare di aver imparato la lezione. Il tempo del rigore finanziario è arrivato di pari passo sia per la spesa pubblica che per quella calcistica. Non solo vizi in comune tra società e sport, ma anche virtù. A fronte di risorse sempre minori, il sistema di protezione sociale, il Welfare, è stato eroso drasticamente. Se le cose continuano a funzionare minimamente in quel campo, i meriti vanno ascritti ad un vasto sistema di associazionismo basato sul volontariato, centinaia di migliaia di italiani che avvertono il dovere di prodigarsi gratis per assistere malati, disabili, anziani, marginali di ogni genere. È così anche nello sport: se il sistema continua a funzionare nonostante tutto, se tanti piccoli impianti negli oratori, nelle periferie, nei paesini più sperduti continuano a pullulare di ragazzi e di giovani, ciò accade per merito del volontariato. Solo nel Csi i numeri parlano di oltre 60.000 volontari. In tutto lo sport di base il numero si amplifica all’infinito. Uomini e donne veri, seri e responsabili. Lo specchio dell’Italia umile, in ombra, povera di mezzi ma ricca di generosità e di cuore.

L'angolo del Presidente

Sport e società. Stessi vizi, identiche virtù

Massimo Achini

Presidente Nazionale